Quando il lavoro fa male (autori Claude de SCORRAILLE, Olivier BROSSEAU, Grégoire VITRY - InterÉditions) cerca di rispondere alla domanda: “Come considerare il burnout? ". Il dibattito è diventato una questione politica, suscettibile di influenzare il voto alle prossime elezioni presidenziali.
Ecco un estratto dal libro su questo argomento caldo.
Il burnout è caratterizzato da un processo di esaurimento sul lavoro. Viene chiamata in francese sindrome da esaurimento professionale, poiché si osserva principalmente nel contesto del lavoro e si manifesta attraverso una combinazione di sintomi, le cui forme variano a seconda di quando la persona è impegnata in questo processo. Si va dai segni di iperattività, accompagnati o meno da intensa stanchezza, a quelli di uno stato depressivo, che unisce stanchezza profonda, disinvestimento nella propria attività lavorativa e sentimento di svalutazione professionale, che precede e soprattutto segue il momento in cui la persona crolla, allo stremo delle sue risorse.
Questa dimensione procedurale talvolta distingue il “falso burn-out”, quello da cui si rientra dopo 15 giorni di sospensione dal lavoro, da quello “vero”, dove la saturazione è tale che l'eventuale ritorno ad un'attività professionale non è più possibile prima di lunghissimi mesi.
La prospettiva del burnout provoca ansia per tutti intorno a coloro che soccombono: poiché il burnout può colpire tutti, anche individui percepiti come forti e di successo, cosa sarà per me? E se non riusciamo a cambiare l'organizzazione del lavoro, le leggi del mercato, la stessa filosofia del lavoro, allora, un giorno o l'altro, ognuno di noi può trovarsi vittima di una situazione lavorativa implacabile e crollare per il desiderio di fare troppo bene.
In altre parole, come faccio a sapere se anch'io sono così fragile da rischiare di crollare? Come faccio a sapere se non sono vittima di un contesto tossico?
È questo il senso delle attuali questioni che irrigano la riflessione della Commissione Affari Sociali dell'Assemblea Nazionale, che sente [1] i principali attori del settore per formulare una raccomandazione volta a convalidare o meno la qualificazione del burn-out/sindrome da burnout come malattia professionale; che l'Assemblea ha escluso per la prima volta nel 2014.
Tale questione non è di poco conto nel contesto più generale della riflessione sulla tutela della salute mentale nel lavoro. Un eventuale riconoscimento del burnout come malattia professionale potrebbe completare e accentuare la vittimizzazione, e quindi la giudizializzazione del mondo del lavoro. Ci ispira con le seguenti domande: - Come curare la malattia appena riconosciuta? - Chi trattare? - In quale fase del processo?